18 gennaio 2016

#RCAuto a “doppia firma”. Valore probatorio del modello #CAI



Le dichiarazioni contenute e sottoscritte nel modulo C.A.I. (Constatazione Amichevole d’Incidente) non hanno valore probatorio nei sinistri Rc auto, ma sono soggette a libera valutazione del giudice



Una delle questioni più dibattute relative ai sinistri Rc auto, è il valore probatorio da attribuire al modulo C.A.I (comunemente C.I.D. o mudulo blu) recante la sottoscrizione dei conducenti coinvolti nell’incidente. La legge disciplina il caso ponendo una presunzione semplice di colpa a carico di chi ammette la propria responsabilità nel sinistro, sottoscrivendo una dichiarazione (o meglio, una confessione). Una norma contenuta nel Codice delle Assicurazioni Private stabilisce che “Quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso” [1].


Le dichiarazioni rese e sottoscritte nel documento rappresentano una confessione stragiudiziale resa dal conducente responsabile (o dai conducenti responsabili, nel caso di sinistri Rc auto che coinvolgano più veicoli o nel caso di corresponsabilità negli incidenti fra due veicoli) che tuttavia, come la stessa legge ammette, possono essere messe in discussione qualora emergano elementi di contrasto. La norma che stabilisce il valore probatorio del modulo C.A.I. introduce una presunzione semplice di colpa a carico del soggetto sottoscrivente, ma considerando che tale soggetto è diverso dall’assicuratore, nel tempo si sono susseguite diverse pronunce volte a stabilire l’effettivo ambito di operatività della disposizione.


Inizialmente la giurisprudenza ha affermato che la presunzione di responsabilità opera solo quando il modulo C.A.I. venga utilizzato dal danneggiato prima dell’instaurazione del giudizio. Nel caso opposto, ossia quando il C.A.I viene utilizzato nel corso del giudizio, “trattandosi di dichiarazioni rese da un soggetto diverso dall’assicuratore, sono liberamente apprezzabili dal giudice allo stesso modo delle dichiarazioni confessorie rese da un terzo”[2].



La pronuncia più interessante e recente sul tema, è contenuta però in un’ordinanza della Corte di Cassazione Civile, nella quale i giudici hanno espresso un principio di diritto sul valore probatorio del modulo C.A.I. nei sinistri Rc auto.



I giudici dalla Cassazione hanno in qualche modo svuotato di significato la presunzione semplice che stabilisce la responsabilità del sottoscrivente fino a prova contraria, affermando che la confessione resa nel C.I.D. dal responsabile del sinistro e proprietario del veicolo non ha valore di piena prova nemmeno nei suoi confronti ma è soggetta in ogni caso alla libera valutazione del giudice [3], trovando applicazione in questi casi quanto disposto per la confessione nel litisconsorzio necessario [4].




In sintesi, il giudice di merito può liberamente valutare il valore probatorio da attribuire alla dichiarazioni contenute nel modulo C.A.I, in particolare confrontando la confessione stragiudiziale con altri elementi probatori, quali le testimonianze, il verbale eventualmente redatto dalle Autorità, le registrazioni della scatola nera, le valutazioni tecniche formulate dai periti d’ufficio e di parte e il materiale audio-video a disposizione.


  1. Art. 143 comma 2 del Codice delle Assicurazioni Private.
  2. Cass. sent. n. 4369 del 2.4.2002.
  3. Cass. ord. n. 3875 del 19.02.2014.
  4. La Corte ha affermato che in questo caso deve trovare applicazione l’art. 2733 terzo comma c.c., ai sensi del quale in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa soltanto da alcuni dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice.
Fonte

06 gennaio 2016

Rc Auto: assicurazioni a rischio stangata in caso di lite temeraria



Rischiano una pesante condanna per “lite temeraria” le imprese assicurative che invece di procedere alla liquidazione del danno scelgano di resistere in giudizio senza aver alcun elemento in mano. Con una sentenza “esemplare” depositata il 10 dicembre 2015, n. 2428, infatti, il Tribunale di Tivoli ha condannato le compagnie assicurative dei due veicoli responsabili al pagamento delle spese aggravate (ex articolo 96 ultimo comma del c.p.c.) «per un importo per ciascuna assicurazione pari al quadruplo delle spese processuali», già liquidate nella «misura massima» di 25mila euro nelle mani dell’avvocato antistatario.



Il caso – La vicenda originava dall’investimento di un pedone mentre attraversava la via Tiburtina ad opera di una Fiat punto che procedeva ad alta velocità. L’autovettura veniva poi tamponata da un’Audi così «spingendola a salire sulla vittima con la scocca». Per il tribunale la causa del sinistro era da rinvenire al 95% nella velocità «non adeguata» del conducente della prima auto e solo «marginalmente» (5%) era da attribuirsi al veicolo sopraggiunto. A seguito di una Ctu il danno riportato dal giovane travolto sulla strada – che aveva subito diversi interventi chirurgici – veniva liquidato in 213mila euro con «personalizzazione massima».



La motivazione – Il giudice però ha anche condannato gli istituti assicurativi al pagamento delle spese aggravate per lite temeraria, «in quanto è evidente che hanno resistito in giudizio senza aver liquidato il danno che, stante le competenze della compagnia, certamente era ben noto alla parte». Inoltre, «nella rappresentazione dei fatti hanno enfatizzato elementi del tutto trascurabili o addirittura equivoci (è sufficiente pensare che la strada non era dotata di strisce pedonali, sicché non ha traversato “al di fuori di strisce pedonali” ma in “assenza delle stesse”)». Mentre lo status di straniero senza fissa dimora «è notoriamente elemento che gioca a sfavore della vittima, come certamente noto alle compagnie assicuratrici, che difficilmente avrà accesso alla giustizia». Per queste ragioni il tribunale ha stimato «equo condannare ogni compagnia assicuratrice a pagare una somma pari al quadruplo delle spese legali».



Del resto, prosegue la sentenza, l’istituto delle spese aggravate è finalizzato «a disincentivare le cause defatigatorie e strumentali e deve essere parametrato alla capacità ed alla forza giuridica della parte ed alla posizione di vantaggio che parte colposamente resistente vanta nel confronti dell’avente ragione». In questo senso non può sottacersi, argomenta il giudice, «l’esistenza di un enorme contenzioso che vede soccombenti le compagnie assicuratrici e che è generato — con tutta evidenza — da intenti defatigatori, nel palese tentativo di indurre le parti ad accettare somme inferiori al dovuto in tempi brevi o, al contrario, dover sottostare ai lunghi tempi della giustizia e, non da ultimo, al rischio di errori processuali».
E «la tolleranza di tali comportamenti si tradurrebbe, inevitabilmente, in un vantaggio economico che, in un’ottica imprenditoriale, è destinato sempre e comunque ad alimentare il contenzioso». In ultimo il tribunale rammenta che tale somma «non essendo tecnicamente una spesa processuale, compete direttamente alla parte e non al difensore».

Professione #PeritoAssicurativo. Tra falsi miti e la cruda realtà. 1/2

(rara immagine di perito assicurativo non in giacca, presa da un interessante articolo ) Premessa Il D.Lgs 209/2005 alias il Codice ...