24 settembre 2014

#RCAuto..divagazioni sul RISARCIMENTO DIRETTO. #1.


Riporto pedissequamente un articolo a firma di Dario Mastria, pubblicato sul sito UNARCA, associazione facente parte del più ampio movimento www.mobilitazionedecretorcauto.it, di cui mi pregio di far parte sia in veste di patrocinatore stragiudiziale e referente in Campania del CUPS.IT che quale dirigente dell'Associazione MO'BAST!.
In tale brano sono riportate delle VERITA' GIURIDICHE incontrovertibili e sinceramente INAMMISSIBILI ma sfortunatamente tollerate dai Ns. legislatori.... C'è bisogno di far capire loro che il RISARCIMENTO DIRETTO, definito da Stefano Mannacio IL GRANDE INGANNO, è la causa dello status quo.
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Dall’intervento volontario alla costituzione “in nome e per conto”. Cambiano le forme, ma la sostanza resta la stessa: la presenza in giudizio della Compagnia del danneggiato è inammissibile

Le Compagnie di Assicurazione non si arrendono mai. Sono come Mamme, Grandi Mamme, che per un proprio figlio sono disposte a combattere qualsiasi battaglia, anche la più disperata.
E quale figlio è più amato del risarcimento diretto, frutto mostruoso creato nottetempo da apprendisti stregoni che hanno accoppiato ciò che è giuridicamente inaccoppiabile, ovvero la figura del danneggiato con quella dell’assicurato? 

I capitoli precedenti di questa ormai lunga storia sono ben noti. Inserita di soppiatto nel Codice delle Assicurazioni, la procedura di risarcimento diretto è stata definita facoltativa e non obbligatoria dalla Corte Costituzionale (1). 
In un Paese Civile, una sentenza, sia pure contraria, che viene dal più elevato organo giurisdizionale, è accolta a capo chino, in silenzio e col cappello in mano. 
Ma noi siamo in Italia e mamma Ania, le mani sui fianchi, la mascella protesa e l’occhio spiritato ha urlato uno stentoreo “Me ne frego”. Ovvero, tu, cara Corte Costituzionale, ci dici che il risarcimento diretto dev’essere facoltativo?
E noi aggiungiamo subito alla nostra Convenzione sul Risarcimento Diretto un bell’art. 1 bis che recita: “Con la sottoscrizione della presente Convenzione le imprese aderenti riconoscono e comunque dichiarano di ritenere la procedura di risarcimento diretto come obbligatoria”.
Che fulgido esempio di correttezza e di rispetto delle istituzioni viene da chi, un giorno sì e l’altro pure, strepita contro i comportamenti al limite della legalità di cui si macchierebbero tanti assicurati! 
Che succede allora all’assicurato / danneggiato che, sentenza della Corte Costituzionale alla mano, invia la propria richiesta di risarcimento alla Compagnia del danneggiante? 
In prima battuta, egli riceverà un bonario invito da parte della Compagnia del danneggiante a rivolgersi alla propria Compagnia, “in quanto ricorrono le condizioni di applicabilità della procedura di risarcimento diretto”. A dire il vero, c’è chi si spinge anche più in là; nel 2013, per esempio, Unipol arrivava a scrivere che “il danno subito nel sinistro in oggetto deve essere risarcito dalla Compagnia Assicuratrice (omissis), che ci legge in copia, in regime di Risarcimento Diretto anche alla luce della sentenza n. 180/2009 della Corte Costituzionale” (2).
Ma l’hanno letta la sentenza questi signori, oppure il contenuto è stato loro riferito per telefono, e la linea in quel momento era assai disturbata? Non è anche questo un fulgido esempio di correttezza e buona fede?
Di applicazione un tantino disinvolta dell’obbligo di “fornire al danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno” (3)
E se l’assicurato declina questi cortesi inviti e osa lo stesso citare in giudizio la Compagnia del danneggiante e non la propria? Niente da fare.
L’assicurato / danneggiato se la dovrà sempre e comunque vedere con la propria Compagnia. All’inizio la c.d. Compagnia gestionaria piombava nel giudizio mediante un atto di intervento volontario. Ma l’intervento giuridicamente non sta in piedi. Tanto per dirne una, come fa un soggetto, terzo rispetto a quanto forma oggetto del giudizio, a chiedere il rigetto di una domanda non formulata nei suoi confronti?(4). In ogni caso, più che le ragioni del diritto, più che la prevalente giurisprudenza contraria, poterono le ragioni della tasca, ovvero la L. n. 183 del 21 novembre 2011 che, nel sostituire il terzo comma dell’articolo 14 del Testo unico sulle spese di giustizia, ha stabilito l’obbligo del pagamento del Contributo Unificato nel caso di “intervento autonomo”.
Vedersi dichiarare inammissibile l’intervento dopo aver sborsato pure il Contributo Unificato non è piaciuto a Mamma Ania, che, quindi, ha deciso di aggiustare il tiro. Non più intervento volontario, quindi, ma costituzione della Compagnia del danneggiato in nome e per conto della Compagnia del danneggiante. Cambia la forma, ma, a sommesso parere di chi scrive, non cambia il risultato, ovvero l’inammissibilità della presenza in giudizio della Compagnia del danneggiato, laddove quest’ultimo abbia, invece, evocato la Compagnia del danneggiante. Vediamo perché. 1) Violazione del principio di facoltatività stabilito dalla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale ha evitato di dichiarare l’illegittimità dell’art. 149 c.d.a., dandone un’interpretazione “costituzionalmente orientata”. E’ possibile che basti inserire un art. 1 bis qualsiasi in un accordo fra privati, quale è la Convenzione Card, per far rientrare dalla finestra ciò che la Corte Costituzionale ha fatto uscire dalla porta? Ovvero, basta che Mamma Ania proclami che il risarcimento diretto è obbligatorio per tutte le Compagnie, perché esso torni a essere tale anche per il danneggiato? Naturalmente no. Gli accordi interni fra le compagnie hanno per oggetto “un rinvio del danneggiato al suo assicuratore in contrasto con la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 149 CdA”(5) e, quindi, la presenza in giudizio della Compagnia del danneggiato è sempre e comunque inammissibile, per i medesimi motivi per cui la procedura di risarcimento diretto è legittima soltanto se facoltativa. Questo argomento appare decisivo e insuperabile, ma ve ne sono anche altri che meritano di essere rapidamente esaminati, se non altro per smentire chi sostiene che la formula adottata dalle Compagnie realizzerebbe “un semplice fenomeno di rappresentanza processuale, regolato dall’art. 77 c.p.c.”(6)
Eh no, signori miei, questo non è un semplice rapporto di mandato con rappresentanza come tutti gli altri. E la ragione è semplice. Dall’altra parte non c’è un terzo qualsiasi: c’è l’assicurato, ovvero un soggetto che ha stipulato con il mandatario un contratto, il contratto d’assicurazione, dal quale discendono, in capo al mandatario, obblighi incompatibili con la sua presenza nel processo. 2) Violazione dell’art. 149 c.d.a. Qual è la natura giuridica del rapporto fra Compagnia del danneggiante e Compagnia del danneggiato disciplinato dall’art. 149 c.d.a.? Si è parlato di accollo, di espromissione, di delegazione. La tesi più accreditata e prevalente è però quella del mandato ex lege7 senza rappresentanza. Ne costituisce prova inconfutabile il fatto che il danneggiato che agisca ex art. 149 nei confronti della propria Compagnia, lo farà citandola “in nome proprio” e questa immancabilmente “in nome proprio” si costituirà e non certo “in nome e per conto” della Compagnia del responsabile, come ben sa chiunque abbia varcato a questo scopo la soglia di un qualunque Ufficio di un Giudice di Pace. Inoltre, se il mandato in questione fosse con rappresentanza, perderebbe di qualsiasi senso l’ultimo comma dell’art. 149, laddove si prevede espressamente la possibilità dell’intervento della Compagnia del danneggiante con estromissione dell’altra Impresa. Che senso avrebbe parlare di intervento, se la Compagnia del danneggiante fosse già costituita in giudizio, sia pure rappresentata dalla Compagnia del danneggiato? E siamo alle solite; non basta certo un articolo di una Convenzione privata per rendere legittimo ciò che il Legislatore ha espressamente escluso. 3) Violazione dell’art. 1917 c.c. “I rapporti tra assicurato da assicuratore sono regolati dall'articolo 1917 c.c., che, trattandosi di norma di ordine pubblico, non è derogabile dagli accordi associativi Ania (c.d. Card), per di più istituiti nell'interesse della compagnia e a detrimento del danneggiato e che comunque prevedono proprio la regolamentazione tra compagnie dei rapporti di dare - avere nel caso di indennizzo diretto, che legittima l'intervento per tutelare il proprio assicurato non già per contrastarlo. In questa sede è evidente che l'interveniente non interviene certo favore del creditore della prestazione bensì di fatto contro di esso. Si ribadisce che il rapporto che in materia di r.c. auto lega l'assicurato al suo assicuratore, e viceversa, costituisce contratto tipico disciplinato dall'articolo 1917 c.c. (richiamato dall'articolo 122 cod. ass. per ribadirne l'obbligo), ai sensi del quale nell'assicurazione della responsabilità civile l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicuratore di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto” (8) ; non è chi non veda come tale norma sia diretta “a tutelare l'assicurato ("tenerlo indenne"), posto che diversamente verrebbe inammissibilmente stravolta la funzione e la disciplina propria del contratto assicurativo”(9).
Dice bene il Tribunale di Genova. La presenza in giudizio della Compagnia del danneggiato in qualità di mandataria stravolge la funzione e la disciplina propria del contratto assicurativo. Dottrina e giurisprudenza anche risalenti hanno studiato in maniera approfondita il c.d. patto di gestione della lite(10), ovvero la clausola contenuta in tutte le polizze di assicurazione della responsabilità civile, che attribuisce all’assicuratore la gestione, in sede sia giudiziale che stragiudiziale, del contenzioso con il terzo danneggiato.
In particolare, nello studio del patto di gestione della lite, si è evidenziato come possa verificarsi un conflitto d’interessi fra assicurato ed assicuratore, ad esempio allorché la polizza preveda delle franchigie, oppure clausole che impongono il calcolo del premio secondo il meccanismo del bonus-malus.
Ebbene, quale maggiore conflitto d’interessi può esservi del caso in cui l’assicuratore, anziché provvedere alla cura degli interessi comuni all’assicurato, si ponga addirittura quale controparte dell’assicurato stesso? Restano attuali le parole di chi ha affermato che l’assicuratore può avere riguardo al proprio interesse, ma “non può ignorare, d’altronde, l’interesse dell’assicurato e, anzi deve mettere tale interesse sullo stesso piano del suo, giacché, altrimenti, userebbe del patto per un fine diverso da quello per cui è stato stipulato e, cioè, se ne varrebbe, non per evitare di essere danneggiato dalla sua posizione, ma per trarre, da essa, un particolare profitto”(11)
Vi pare che, nel nostro caso, possa dirsi che l’assicuratore mette l’interesse del proprio assicurato sullo stesso piano del suo? Semmai accade l’esatto contrario. 4) Violazione dell’art. 183 c.d.a. e dell’art. 9 DPR n. 254/2006 Il tema del conflitto d’interessi è ben presente nel Codice delle Assicurazioni.
In particolare, l’art. 183 c.d.a. stabilisce che, nell’esecuzione dei contratti assicurativi, le imprese debbano comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza; evitare conflitti d’interesse ove ciò sia ragionevolmente possibile e, in situazioni di conflitto, gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino pregiudizio agli assicurati. E quale pregiudizio maggiore può causare un assicuratore a un proprio assicurato di quello che discende dalla costituzione in giudizio per contrastarne le ragioni, cioè per negarne in toto il diritto al risarcimento dei danni patiti in un sinistro? E l’art. 9 del DPR n. 254/2006, cioè – si badi bene - del Regolamento del risarcimento diretto, che cos’è, carta straccia?
In quella sede si è stabilito, com’è stato già ricordato, che “l’impresa, nell’adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno”. Secondo i sostenitori della legittimità della costituzione della Compagnia del danneggiato “in nome e per conto” di quella del danneggiante non sarebbe ravvisabile nella costituzione per rappresentanza un pregiudizio per il danneggiato.
Ma qualcuno spieghi, se n’è capace, come gli obblighi di una Compagnia di gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino pregiudizio agli assicurati e - addirittura – quello di consentire la piena realizzazione del diritto del danneggiato al risarcimento del danno, si concilino con la sua presenza in giudizio “in nome e per conto” di un’altra Compagnia allo scopo di escludere il diritto al risarcimento del danno, ovvero di recare il massimo pregiudizio che un assicuratore possa causare a un assicurato. In sintesi La Corte Costituzionale ha stabilito che il danneggiato ha il diritto, non l’obbligo, di avvalersi della procedura di risarcimento diretto. Se non si avvale di tale procedura, questa non può certo tornare ad essere obbligatoria perché questo è il volere di Mamma Ania. Sia perché all’accordo fra le Compagnie il danneggiato è ovviamente estraneo, sia – soprattutto – perché non è ammissibile che un mero accordo fra privati metta nel nulla un principio sancito dalla Corte Costituzionale.
Inoltre, la costituzione in giudizio della Compagnia del danneggiato presuppone il conferimento di un mandato con rappresentanza, in aperta violazione dell’art. 149 c.d.a., come si evince agevolmente dal fatto che il Legislatore abbia disciplinato la possibilità dell’intervento della Compagnia del danneggiante.
Infine, la costituzione in nome e per conto della Compagnia convenuta è inammissibile dal momento che la compagnia mandataria è legata da un contratto d’assicurazione con l’attore. E, in conseguenza di ciò, viene a determinarsi un macroscopico conflitto d’interessi, che comporta sia la violazione dell’art. 1917 c.c., in quanto viene ad essere stravolta la funzione e la disciplina propria del contratto assicurativo, sia degli art. 183 c.d.a e 9 DPR n. 254/2006, che obbligano rispettivamente le Compagnie a gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino pregiudizio agli assicurati e a fornire loro l’assistenza necessaria per ottenere la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno.

1 Corte cost. 19/06/2009, n. 180.
2 Lettera del 13.2.13 proveniente dalla Direzione Sinistri e relativa alla pratica 0852/2013/14580/002
3 Art. 9 DPR n. 254/2006.
4 Si veda sul punto il breve ma incisivo commento di Minucci, in Arch. Giur. Circ., 2011, 57.
5 Così, per esempio, Trib. Torino sent. n. 389/2013, consultabile per esteso su questo sito.
6 Così Hazan, Osservatorio, in Danno e resp, 2013, 997.
7 Così, fra gli altri, Rossetti, L'assicurazione obbligatoria della R.C.A., Torino, 2010, 282; Gallone, Codice delle Assicurazioni, Piacenza, 2008, 604
8 Trib. Genova n. 2415/2011, in Arch. Giur. Circ., 2012, 797.
9 Trib. Genova , cit.
10 Per un esaustivo studio recente sull’argomento si veda Costantini, La gestione della lite, in Resp. e Assicurazione, a cura di R. Cavallo Borgia, Milano, 2007, 173.
11 Donati, Sulla gestione della lite, in Assicurazioni, II, 1949, 59.

07 settembre 2014

Considerazioni sulla "Convenzione di negoziazione assistita"

Schema di Decreto Legge contenente misure urgenti per la giustizia civile
Scorrendo gli articoli dell’emanando Decreto Legge contenente misure urgenti per il processo civile, il primo pensiero, a caldo, è il seguente: “La mediazione obbligatoria per la RC Auto esce dalla porta e rientra dalla finestra?”
Innanzitutto bisogna premettere che le seguenti considerazioni sono effettuate sulla bozza di Decreto Legge approvato in Consiglio dei Ministri (allegata in fondo a questo commento), per cui sono ancora possibili variazioni prima della imminente pubblicazione sulla G.U.  Ulteriori modifiche potranno essere apportate dalla legge di conversione del decreto. Si tratta quindi di un testo che non possiamo considerare definitivo. Se vi saranno modifiche sostanziali, torneremo in argomento.
Dal punto di vista assicurativo, il “piatto forte” del Decreto è costituito dall’introduzione di una nuova procedura di composizione stragiudiziale delle controversie, denominata “Convenzione di negoziazione assistita”. Si tratta di un “accordo” mediante il quale le parti, cooperando lealmente (ecc.), pervengono alla transazione definitiva del sinistro.
Per alcune materie, la procedura sarà “obbligatoria”, nello stesso senso in cui lo è la Mediazione. In che senso, “obbligatoria”? Nel senso che la negoziazione assistita diventa una condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In altre parole, se si vuole convenire in giudizio il responsabile di un sinistro e il suo assicuratore (o, a scelta, il proprio assicuratore, nel caso di sinistro al quale è applicabile la procedura di Risarcimento Diretto) sarà necessario esperire prima il tentativo di negoziazione assistita.
Quali sono queste materie? Principalmente tre:
1)    controversie disciplinate dal codice del consumo;
2)    controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli (quelle che qui interessano);
3)    domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti € 50.000.
La domanda che sorge spontanea è: “Ma assistita da chi?”
La risposta è semplice: le parti devono obbligatoriamente essere assistite da avvocati, che avranno, oltre al compito principale di condurre le trattative, anche quelli di certificazione dell’identità delle parti e dell’autenticità delle firme, obblighi d’informazione sulla procedura e di riservatezza.
 Come funziona questa procedura?
Anche la procedura è molto semplice. La parte che intende esercitare in giudizio l’azione di risarcimento deve, tramite appunto il proprio avvocato, invitare l’altra parte alla stipulazione di una negoziazione assistita. La parte invitata può aderire o rifiutare. In assenza di comunicazioni della parte invitata entro un mese, la procedura si considera esperita (con esito ovviamente negativo).
Nella “convenzione”, redatta in forma scritta a pena di nullità, devono essere indicati:
il termine concordato tra le parti per l’espletamento della procedura (non inferiore ad un mese);
l’oggetto della controversia (che non può riguardare diritti indisponibili).
In caso di rifiuto o di mancata risposta, il comportamento della parte invitata può essere considerato dal giudice ai fini delle spese del giudizio (oltre a conseguenze più gravi in caso di malafede).
La “dichiarazione di mancato accordo” è certificata dagli avvocati designati.
L’accordo, andato a buon fine, regolarmente sottoscritto dalle parti e certificato dagli avvocati, costituisce titolo esecutivo. Infine, tale accordo deve essere inviato in copia al Consiglio dell’Ordine circondariale del luogo ove l’accordo è stato raggiunto, a fine di monitoraggio.
Il Decreto, inoltre, contiene ulteriori specificazioni sull’interruzione della prescrizione e gli effetti sui procedimenti speciali o d’urgenza o in altri casi particolari.
L’entrata in vigore del D.L. è fissata al giorno successivo alla pubblicazione. Tuttavia, l’”obbligatorietà” della procedura sarà efficace decorsi 90 gg. dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto (art. 3 u.c. della bozza).
Qual è lo scopo di queste nuove norme? Il Decreto reca nel suo titolo la (terrificante) parola “degiurisdizionalizzazione”: se ne desume che, al pari della Mediazione Obbligatoria, l'iniziativa, insieme ad altre, contenute nello stesso Decreto, si pone l’obiettivo principale di deflazionare il contenzioso civile, ingolfato soprattutto dalle controversie in materia di RC Auto. Se sia, o no, idoneo a tale scopo, si vedrà attraverso il monitoraggio effettuato dai Consigli dell’Ordine.
In ogni caso, valgono alcune considerazioni già effettuate a proposito della Mediazione Obbligatoria, e cioè la frapposizione di un nuovo passaggio – obbligatorio anch’esso – tra la trattativa libera delle parti e l’esercizio dell’azione civile. Una sorta di “filtro” che dovrebbe scoraggiare le parti, incentivandole a non perdere ulteriore tempo, favorendo una composizione amichevole.
Le intenzioni sono, come sempre, lodevoli. Nei fatti, se non è stato possibile raggiungere una composizione della controversia nella fase a trattativa libera, non sarà più semplice, attraverso questa procedura, raggiungere una transazione. Il rischio per il danneggiato potrebbe consistere in un’ulteriore perdita di tempo, prima di poter validamente adire la giustizia civile. Ciò, comunque, in alcune zone è solo parzialmente vero: ben si può, infatti, iniziare l’azione civile prima della conclusione della negoziazione assistita (o ancor prima di iniziarla); in questo caso il giudice fissa la data della prossima udienza successivamente alla scadenza della procedura stessa (art. 3 comma 1 del DL emanando). Nei fori dove le udienze sono fissate a distanza di mesi e mesi l’una dall’altra, il fattore tempo non è così decisivo.
Dal punto di vista dell’Impresa assicurativa, mentre, da un lato, l’ulteriore passaggio della negoziazione assistita può facilitare la transazione, spingendo il danneggiato che ha fretta ad evitare il contenzioso, dall’altro, la necessità di farsi assistere da un legale rappresenta, per l’Impresa, un costo in più, sia nel caso di negoziazione andata a buon fine sia in caso di mancato accordo.
Insomma: per finire dove avevamo iniziato, rientra dalla finestra la Mediazione Obbligatoria? Solo in parte, a mio avviso. Questa procedura è molto più semplice, non ha costi fissi (a parte gli onorari di patrocinatore legale), è ispirata alla massima informalità.
Tuttavia, anche in questo caso, come per altri interventi legislativi in passato, la sua efficacia come incentivo alla deflazione del contenzioso è dubbia e dovrà essere messa alla prova dei fatti.
G.L. Fenu @ questioniassicurative.it

articolo originale

19 luglio 2014

#tariffaunica ? Impossibile dice la Corte di Giustizia Europea. Parliamo allora di #tariffaequa e #mutualita'. #doppiaverita

L’associazione MOBAST!, nel valutare l’operato delle compagnie assicuratrici, ha ben presente cosa siano e per quale motivo siano nate: sono INDUSTRIE del RISCHIO che, grazie al principio di MUTUALITA’, ripartiscono il rischio contratto da ogni singolo cliente spalmandolo sul maggior numero di assicurati al fine di danneggiare il meno possibile la clientela tutta.
E’ bene premettere, prima di andare avanti, che la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata in merito alle differenze tariffarie su base geografica con la sentenza relativa alla Causa C-518/06 indicando, al paragrafo 91, testualmente: “In particolare, è pacifico che l’obbligo di contrarre non impedisca alle imprese di assicurazioni di calcolare una tariffa più elevata per un contraente residente in una zona caratterizzata da un numero rilevante di sinistri rispetto ad un contraente residente in una zona a rischio meno elevato.”
E’ da precisare che il richiamato testo parla in prima analisi di numero (rilevante) di sinistri per poi parlare di rischio, in modo generalizzato. Il rischio è un concetto fin troppo astratto per poterlo definire in modo certo ma, dal punto di vista assicurativo, il rischio è da sempre definito dalla somma di due fattori: numero di sinistri in un determinato lasso di tempo (frequenza) e costo totale dei sinistri diviso il numero degli stessi (costo medio). Tutto ciò che esula da questi due parametri nel calcolo del rischio sono fattori aggiuntivi (detti “caricamenti”) a volte inseriti per motivi “commerciali” altre per motivi “strategici”. Tale nostra spiegazione trova addirittura pieno riscontro con quanto dichiarato da Vittorio Verdone in una intervista al settimanale Golem quando riferendosi alle differenze tariffarie in ambito provinciale dice: “[...] Non 95 tariffe, tuttavia, ma differenze connesse con il premio “puro”, vale a dire il costo medio dei sinistri per la frequenza sinistri delle varie zone. [...]
A questo punto e’ altrettanto utile precisare che il richiamato concetto di MUTUALITÀ è sempre stato utilizzato dalle stesse compagnie per contestare le iniziative che avevano per oggetto la proposta di tariffe uniformi da applicare sul territorio nazionale, come per esempio nel caso dell’iniziativa ultima del Comune di Napoli che ha proposto la tariffa unica nazionale per i virtuosi. E’ emblematico quanto dichiarato dall’ANIA“La proposta […] e’ anche tecnicamente insostenibile: stabilire infatti a favore degli assicurati che non hanno causato sinistri negli ultimi cinque anni un prezzo unico per tutto il territorio e parametrato al livello di tariffa più basso farebbe saltare il meccanismo mutualistico su cui si fonda l’assicurazione. Infatti gli assicurati che avessero causato anche un solo sinistro nei cinque anni sarebbero costretti a pagare premi insostenibili, vicini al costo del danno provocato. Per evitare questa assurda conseguenza, le compagnie per coprire il disavanzo che si realizzerebbe a causa della soluzione proposta sarebbero costrette a stabilire una tariffa unica più elevata colpendo con aumenti ingiusti e rilevanti le comunità di automobilisti più virtuose”.
Quindi, anche secondo l’ANIA (Associazione Nazionale delle Imprese Assicurative), la ripartizione del rischio é essenziale per affermare il concetto di MUTUALITÀ affinché si possa tutelare chi si rende responsabile di un sinistro evitandogli di pagare un premio dai costi insostenibili (come se quelli pagati dagli assicurati Campani, in particolare Napoletani e Casertani, non lo fossero gia! ).
Analogo concetto viene espresso dal Dott. Nava, responsabile Direttorato Finanziario H della Direzione Generale Mercato Interno UE. Questi, nella audizione del 12/07/2012 dichiarava che la differenziazione tariffaria su base geografica deve essere giustificata da una chiara differenza statistica sui sinistri legati alle varie zone, acclarando che laddove ci siano tariffe più elevate queste devono essere conseguenza di una maggiore sinistrosità rilevata in quegli stessi territori. Riportiamo pedissequamente il testo della risposta del dott. Nava, dal minuto 22:45: [...] Quello che è anormale - ed è questo il punto su cui insistono e credo questo un punto su cui si possa lavorare - è che questa differente sinistrosità non sia dimostrata nè nella sua esistenza e neanche che la differenziazione [...]. Perchè se la sinistrosità è doppia [...] allora la premialità potrebbe essere doppia. Questo secondo me il punto su cui lavorare. [...]”
Quindi la Commissione Mercato Interno mette in evidenza che la differenziazione tariffaria geografica ha un senso quando si valuta il rischio  “puro” ( frequenza e costo medio sinistri )
Ebbene, come evidenziato nell’IC42 dell’AGCM (Antitrust, pagg 101-106), due città simili quanto a urbanizzazione e densità abitativa, come Napoli e Milano, presentano dati relativi a frequenza e costo medio sostanzialmente uguali mentre le differenze tariffarie tra le due città sono notevolmente diverse a sfavore di Napoli.
La stessa ANTITRUST per darsi una spiegazione di cio’ - e NON PER GIUSTIFICARE quanto sopra come erroneamente afferma il Commissario Almunja nella lettera di risposta alla Commissione Petizioni smentendo il Dott. Nava - chiama in causa variabili aggiuntive (paragrafi 214-215) tra cui  “la numerosità e la tipologia dei gruppi assicurativi che operano in ciascuna provincia e la dimensione della provincia stessa” (definiti poi come concorrenti attivi) ovvero gli assicurati, spiegando che le compagnie applicano tariffe diverse tra Napoli e Milano poichè spalmano il rischio territoriale sul numero di assicurati presenti nei rispettivi territori., compartimentando gli stessi e applicando di fatto un FEDERALISMO ASSICURATIVO che è in antitesi con il concetto di MUTUALITA’.
A proposito di ciò è bene ricordare che le compagnie assicurative operano in base ad una autorizzazione rilasciata su base NAZIONALE, per cui il concetto di MUTUALITÀ deve essere applicato indifferentemente su tutto il territorio nazionale, cosa che di fatto le compagnie non fanno malgrado lo richiamino affinché non venga alterato lo status quo.
In conclusione il concetto di MUTUALITA’ - pur essendo strumentalizzato dalle compagnie assicurative quando sposa tesi pro domo loro - di fatto viene totalmente disatteso dalle stesse e del resto tale materia non dovrebbe essere da loro applicata discrezionalmente ma demandata al controllo dello stato (o delle authority competenti) nell’ambito dell’applicazione di una Legge  tra l’altro obbligatoria per i cittadini.
La MUTUALITÀ nasce per proteggere TUTTI gli assicurati, non per avvantaggiare solo quelli residenti nella parte economicamente più ricca e maggiormente propensa a stipulare polizze aggiuntive su rami più remunerativi e meno rischiosi per le compagnie assicuratrici.
Per rincarare la dose, relativamente alla scorrettezza delle compagnie nell’operare secondo criteri da utilizzare a seconda dei loro interessi, vanno fatti notare alcuni fenomeni  che inducono a sospettare ( noi ne siamo più che convinti ) una vera e propria strategia da parte delle imprese assicuratrici nel voler penalizzare i territori meno ricettivi rispetto alle forme piu’ remunerative di copertura assicurativa:
  1. la desertificazione attuata dalle Imprese Assicuratrici delle strutture facenti capo alle stesse quali Agenzie, Uffici Sinistri/Centri Liquidazione e uffici Dirigenti nei suddetti territori. A tal proposito si segnala come talune compagnie non abbiano addirittura alcuna agenzia al di sotto del Garigliano, aspetto che rende evidente il disinteresse da parte delle imprese al contrasto dei fenomeni fraudolenti laddove, millantandola, ne denunciano la maggiore quantità;
  2. l’aumento decennale del divario tariffario tra Centro/Nord e Sud con il quale le imprese assicuratici hanno alimentato una vera e propria “emigrazione assicurativa” ovvero l’intestazione di veicoli ( moto e auto ) a parenti e amici residenti al Centro Nord al fine di pagare tariffe più basse;
  3. la maggiore incidenza dell’evasione assicurativa, ovvero il preoccupante fenomeno - per le gravi conseguenze di rischio sociale - derivante dalla circolazione di veicoli senza la RCA obbligatoria ex lege;
  4. il fenomeno della autoliquidazione dei micro sinistri - per non vedersi aumentato a dismisura il premio l’anno successivo - ovvero la definizione diretta del danno tra due automobilisti senza il ricorso alla copertura assicurativa la qual cosa si trasforma in una franchigia non contrattualizzata, a tutto vantaggio dei bilanci delle compagnie assicuratrici.
Ecco i motivi per cui noi di MO BAST! denunciamo la #doppiaverita, dopo aver abbandonato l’idea di #tariffaunica.

03 giugno 2014

IL VALORE ANTESINISTRO. APPUNTI CONDIVISI.

Premessa
Il presente articolo ha come base alcuni appunti/memo redatti ai soli fini personali. Nel Marzo 2014 ho inteso condividerli ed ho ricevuto i feedback sottostanti. Spero che apprezziate il nostro comune sforzo. Il file originale è qui.

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APPUNTI SUL VALORE ANTESINISTRO DI UN VEICOLO

Il valore antesinistro di un veicolo è dato dal valore di mercato che lo stesso ha al momento del sinistro. Tale valore è basato su parametri ben definiti:

- modello e versione del veicolo stesso;
- allestimenti particolari;
- numero di proprietari;
- km percorsi;
- stato d’uso generale;
- età (anagrafica) del veicolo.

Ancor oggi, forse per comodità o forse per una posizione di mercato ormai acquisita, gli operatori del settore (venditori d’auto, periti assicurativi) basano le loro quotazioni su mercuriali quali Eurotax, Quattroruote ed Il Volante.
Tali listini, a loro dire, non fanno altro che monitorare il mercato e riportare i valori medi di acquisto e di vendita. Tale monitoraggio, però, si limita agli ultimi 9 anni e, pertanto, NON si potrà conoscere dagli stessi un valore antesinistro di veicoli più anziani.
La mia personale esperienza nonché la necessità di conoscere in modo più approfondito il mercato che mi circonda mi ha portato a redigere il presente vademecum al fine di meglio orientarmi in tale mondo.
In primis bisogna dire che, ad oggi, esistono metodi di rilevamento del mercato SICURAMENTE più affidabili dei suddetti mercuriali e, tra l’altro, gratuiti.
Si parte dai giornalini locali in cui vari rivenditori pubblicizzano il loro parco di autovetture usate per finire, poi, ad internet (auto-moto.ebay.it, motori.alice.it, www.car4you.it, www.autosupermarket.it, www.shoppingcar.it) basta ricercare “automobili usate”.
Ora, questa varietà di informazioni unitamente alla maggiore quantità delle stesse ed ad una selezione “geografica” (da utilizzare senza dubbio AutoScout24 ma anche AutoUncle) dei veicoli acquistabili permette una maggiore comprensione del valore medio del veicolo in oggetto di valutazione per poi entrare nello specifico dei parametri di cui sopra.
Oggi posso consigliarvi addirittura un'applicazione, per Ios ed Android: priceGuru.
E’ palese, infatti, che un veicolo che ha avuto un solo proprietario abbia un valore maggiore di uno analogo con più passaggi di proprietà; analogamente un veicolo con pochi chilometri percorsi può sì essere “anagraficamente” vecchio ma di certo non lo è dal punto di vista meccanico! Non dimenticando, poi, l’aspetto geografico: una utilitaria che paga poco di assicurazione è maggiormente quotata nei territori dove la pressione assicurativa è maggiore… così come un fuoristrada in zone collinari od una “tedesca di alta cilindrata” in zone transfrontaliere...
Pertanto, partendo da questi presupposti, sembra assurdo che i vari periti di compagnia “obbediscano” ciecamente ai valori a loro “consigliati” dai vari software di estimo peritale (vedi Genius, Acta et similia) che si vantano di inglobare i listini dei predetti mercuriali.
Visti i commenti aggiungo (per me era implicito) che ai fini risarcitori a tale valore vanno aggiunti gli oneri accessori, il F.R.A.M. oltre che il danno emergente (tassa non goduta et similia).

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Appunti e commenti dai social networks.

Gianni Sacrificato Mi permetto di precisare che i prezzi che trovi su Autoscout etc. sono prezzi di richiesta e non dell'effettivo valore di realizzo della vendita che ne identifica il valore. Vero e' che i valori di quattroruote ed eurotax (lascerei perdere le altre citate)sono medie, ma vengono considerati, per queste medie, i prezzi di vendita con incontri periodici con i concessionari presenti sul territorio. Vero e' anche che la media va considerata come base di partenza, una vettura di segmento A o B ha una commerciabilita' e quindi un valore maggiore in Sicilia o in Puglia rispetto al Veneto, così come invece ad esempio una BMW 530 ha un valore molto ridotto al sud, parecchio sotto quattroruote, mentre si riesce a vendere al nord dove è più facile esportarle nei paesi dell'est o in Germania dove c'è mercato per questo tipo di vetture. Nei periodi in cui c'era la rottamazione e non c'erano vincoli di periodo di possesso, vetture del valore di pochi euro venivano vendute a 400/500 euro per poter poi spuntare l'agevolazione di 2.000 euro o più , quindi ad esempio una vettura che oggi vale zero nel periodo 2007 2008 aveva un preciso valore di mercato. Quindi il valore delle varie riviste e' solo un punto di partenza a cui poi applicare le varie variabili dipendenti che un perito deve profondamente conoscere : invece a volte manca clamorosamente. Io penso che sia piu' logico partire da queste medie dei prezzi di vendita invece dei prezzi richiesti su Autoscout che poi apposite trattative riducono anche notevolmente.


Felice Pastore Quello che hai messo giù non fa una piega. Ci sarebbe da aggiungere alle tue considerazioni, ineccepibili, un vero e proprio ordine da seguire per dare un serio valore commerciale ad un veicolo. In primis, l,area dove questo veicolo e' tenuto, ad esempio, un fuoristrada acquisterà più valore se usato in paese collinare o montano che viceversa in zona mare. Ma gli esempi da sviscerare sono tanti, così come se questo veicolo presenta i regolari tagliandi di controllo che sono o meno certificati e periodici, ecc.ecc. poi si potrà dedurre un valore commerciale che risponda alla realtà e non a parametri preordinati senza alcun senso logico, ma istituiti soltanto per far fare cassa alle assicurazioni. La categoria dei P.a. Purtroppo di coro che lavorano per le compagnie di assicurazioni, hanno perso il gusto di fare questo lavoro, e si preoccupano (a torto o ragione) di non perdere il carico di sinistri, fatte le dovute eccezioni, ma sono davvero poche


Andrea Del Cesta Un danno dovuto a fatto illecito può essere determinato o in forma specifica, (leggi riparazione a regola d’arte del bene), o per equivalente (leggi valore antesinistro). La valutazione in forma per equivalente è la sostituzione del bene con uno equivalente in modo che sia pronto all’uso. In poche parole il danneggiato deve salire sulla vettura che sia equivalente a quella danneggiata ovvero nel medesimo stato d’uso e dotazione di accessori, metterla in moto e utilizzarla senza sborsare neppure un euro. La valutazione per forma equivalente, (valore antesinistro), deve quindi considerare il valore di riacquisto del bene sul mercato locale, non quello di vendita, e tutte le spese accessorie e amministrative necessarie per utilizzare il veicolo senza sborsare neppure un euro. Quindi deve essere considerata la quota del bollo non goduta, le spese tutte per il trasferimento di proprietà, le spese per il passaggio di assicurazione e il mancato uso di questa nel periodo di fermo, le spese e la perdita di tempo per trovare un veicolo analogo. Inoltre devono essere considerate tutte le spese necessarie per l’alienazione del vecchio veicolo che certamente non possono essere in carico al danneggiato.



Roberto Marino: un buon riferimento si può avere dai prezzi di acquisto dei commercianti. Bisogna aggiungere IVA (avvolte) e spese (aggiudicazione,, mini passaggio, ripristini,trasporto) e margine. http://www.autorola.it/dealer/whatiscarworth.do   www.peritiauto.it


Marco Ambrogiani Direi che da una “INDAGINE WEB” si riesce ad ottenere il “REALE VALORE ATTUALE DI MERCATO” più che un “VALORE ANTESINISTRO” che, come Del Cesta sottolinea,  nella “VALUTAZIONE A RELITTO” deve indicare spese di surrogazione ed aggiuntive (carro attrezzi , ecc.)
Quando si effettua una perizia assicurativa, dove il sinistro è avvenuto pochi giorni prima, il “REALE VALORE ATTUALE DI MERCATO” sostanzialmente coincide con il “VALORE ANTESINISTRO”, MA con quella MISERIA che pagano le Compagnie (con cui personalmente non lavoro più da anni) mi domando: chi è quel masochista che si mette a fare l’indagine web?
Per il resto, quando la perizia è riferita ad un sinistro avvenuto in passato, come per una C.T.U. od una C.T.P., una “INDAGINE WEB” risulta impossibile in quanto, ovviamente, non sono più disponibili gli annunci dell’epoca; per risalire al “REALE VALORE ANTESINISTRO” occorre, obbligatoriamente, fare un’indagine telefonica presso i vari rivenditori di zona, confidando, più che nella loro memoria, nella reperibilità delle loro fatture emesse.  

Michele Campese Purtroppo un aspetto trascurato è l’utilità del bene. Mi spiego. Per chi va in campagna una macchina familiare dotata di gancio traino, è l’ideale. Non solo, è anche necessario che sia datata per essere meno soggetta a furti. Chi e come si valuta questo valore aggiunto? (utilità del bene) La frase tipica dei colleghi: vanno ancora in giro queste auto? no comment.

Da segnalare l'articolo: http://www.assicuriamocibene.it/2014/04/29/come-si-calcola-il-valore-del-veicolo/

25 maggio 2014

#RCAUTO – IL MOTIVO DELLA DIFFERENZA TARIFFARIA – #DOPPIAVERITA

‪#‎RCAuto‬ ‪#‎Assicurazioni‬ ‪#‎doppiaverita‬ ‪#‎federalismoassicurativo‬

Dopo tanto pensare ed analizzare finalmente posso esprimere CHIARAMENTE il mio pensiero su una battaglia che seguo da oltre DUE ANNI.

L’ho battezzata #doppiaverita in quanto il comportamento delle compagnie è VERO, ovvero basato sui dati, così come la Ns. battaglia è altrettanto VERA, basata anch’essa suigli stessi dati !

La doppiaverità consiste nella corretta lettura dei dati.

Noi di MOBAST, nel valutare l’operato delle compagnie di assicurazioni, teniamo ben presente cosa siano e per quale motivo siano nate… Sono INDUSTRIE del RISCHIO che, grazie al principio di MUTUALITA’, riescono a “spalmare” il RISCHIO stesso, contratto dal cliente, sul maggior numero di assicurati al fine di danneggiare il meno possibile la clientela tutta… per certi versi una specie di SOCIALDEMOCRAZIA, diciamo il IV stadio del comunismo anelato dal Marx (perdonate la citazione arrugginita e figlia di lontani studi)…

Di contro le compagnie assicurative oggi si vedono come player del mondo FINANZIARIO, sono delle SpA e poco hanno a che vedere con il concetto di MUTUALITA’… per motivi puramente commerciali, tendenti ad acquisire clientela in rami molto più remunerativi di quelli RCAuto (non oggi!), nel tempo hanno variato il metodo di calcolo delle TARIFFE, togliendo al calcolo “geolocalizzato del rischio” (ritenuto lecito dalla UE con sentenza del 2009 relativa alla causa 518/06) anche il fattore mutualistico, NON spalmando il costo del rischio sull’intero territorio nazionale (ove sono obbligati ad operare vista la licenza Nazionale) ma recintandolo nello stesso territorio ove veniva calcolato il rischio…

Hanno, cioè, applicato senza alcun intervento regolatore dello STATO, un vero e proprio FEDERALISMO ASSICURATIVO che vede nella AUTOSOSTENIBILITA’ del territorio un MANTRA da rispettare anche a costi di impoverire interi territori e tessuti economici… Di contro, da quegli stessi territori, hanno tolto gli UNICI RICETTORI dei flussi economici generati, chiudendo agenzie e spostando i centri di liquidazione presso call center situati in ogni dove grazie all’applicazione del RISARCIMENTO DIRETTO, altra enorme causa della conversione da INDUSTRIA DEL RISCHIO a soggetto finanziario… (qui una mia riflessione in tal senso )

SINTETIZZANDO (con riferimenti)

Le compagnie assicurative NON SOLO (lecitamente) diversificano il rischio ma contingentano il territorio valutando il DIVERSO APPORTO economico (numero ed importo di assicurati) relativo al territorio valutato. #federalismoassicurativo

Da questa FORZATURA palesemente discriminatoria ed eticamente immorale (e forse illegale, visto che la licenza è su base NAZIONALE) nascono DIFFERENZE come quella tra NAPOLI e MILANO, come anche indicato un anno fa dall’AGCM nella relazione IC42, passata sotto silenzio dei media.

Difatti Vi invito ad ascoltare cosa ci rispose il Dott. Nava il 12/07/2012 (secondo accesso a Bruxelles ) ed inoltre la mail che ci inviò successivamente. Da tale mail estrapolammo i riferimenti relativi alla Causa 518/06 che, studiata, conferma che la direttiva 46/92/CE consente la diversificazione territoriale relativamente al RISCHIO ASSICURATIVO.

Il rischio, però, è da sempre valutato con le analisi della frequenza e costo medio sinistri. Mai si parla di suddivisione “CONTABILE” ovvero dei “CONCORRENTI ATTIVI” alias il numero di assicurati in un territorio. La divisione “CONTABILE” è – nei fatti – la completa NEGAZIONE del principio di MUTUALITA’, principio cardine del mondo assicurativo… a nostro sommesso avviso tale principio DEVE seguire i confini della LICENZA di ESERCIZIO che, al momento, è su base NAZIONALE.

Attendo in tal senso commenti, ben apprezzati quelli TECNICI.
Roberto Barbarino, dirigente MO BAST!

08 gennaio 2014

Assicurazione RCA scaduta.... se da meno di 30 giorni multa ridotta, anzi ridottissima! Art. 193 CdS.


Il conducente multato con l’assicurazione auto scaduta da meno di 30 giorni può pagare una sanzione ridotta a, in due modi: o ripristinando tempestivamente l’assicurazione oppure demolendo il veicolo.
Ciò è indicato dal comma 3 art. 193 CdS che indica: "3. La sanzione amministrativa di cui al comma 2 è ridotta ad un quarto quando l'assicurazione del veicolo per la responsabilità verso i terzi sia comunque resa operante nei quindici giorni successivi al termine di cui all'art. 1901, secondo comma, del codice civile. La sanzione amministrativa di cui al comma 2 è altresì ridotta ad un quarto quando l'interessato entro trenta giorni dalla contestazione della violazione, previa autorizzazione dell'organo accertatore, esprime la volontà e provvede alla demolizione e alle formalità di radiazione del veicolo. In tale caso l'interessato ha la disponibilità del veicolo e dei documenti relativi esclusivamente per le operazioni di demolizione e di radiazione del veicolo previo versamento presso l'organo accertatore di una cauzione pari all'importo della sanzione minima edittale previsto dal comma 2. Ad avvenuta demolizione certificata a norma di legge, l'organo accertatore restituisce la cauzione, decurtata dell'importo previsto a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria."

In entrambi i casi, comunque, l’interessato potrà ulteriormente ridurre la multa sino a scendere all’importo di 147,18 euro, ovvero ad un quarto della multa "normale" (da 841 a euro 3.287 ex comma 2  art. 193 C.d.S) ridotto di un ulteriore 30% a condizione che il multato, entro 5 giorni, proceda sia a quanto detto prima che al pagamento della multa.

Quindi, ricapitolando, se la tua assicurazione è scaduta (da tagliando) da meno di trenta giorni:

1) puoi pagare 1/4 della multa se riassicuri prontamente il veicolo o lo rottami entro 30gg dalla multa;
2) puoi ulteriormente ridurre di un 30% il risultato della precedente decurtazione del 75% se esegui quanto indicato nel punto 1) e paghi la multa entro 5 giorni dalla multa.

Professione #PeritoAssicurativo. Tra falsi miti e la cruda realtà. 1/2

(rara immagine di perito assicurativo non in giacca, presa da un interessante articolo ) Premessa Il D.Lgs 209/2005 alias il Codice ...